venerdì 30 dicembre 2011

Fausto Bersani: “Sui campi elettromagnetici amare la verità”

Vi riportiamo un interessante intervista comparsa sul sito on-line de "la Piazza della Provincia" di Rimini il 16 dicembre. Qui sotto il link dell'articolo:

http://www.lapiazza.rn.it/piazza/modules/news/article.php?storyid=7935

Per anni ricerche estremamente significative sono rimaste nel fondo di alcuni cassetti

Secondo l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) è uno degli inquinanti più diffusi ed in veloce aumento nell’ambiente

LA SCIENZA

di Fausto Bersani Greggio*


“Si pensi ad esempio che nel mondo esistono più di 1.400.000 stazioni radio base per telefonia cellulare (circa 1 ogni 4000 utenti) con oltre 5,4 miliardi di cellulari, ed il numero sta crescendo significativamente con l’introduzione delle tecnologie di futura generazione”

“Se da un lato i produttori telefonici hanno quanto meno esercitato pressioni per ritardare o frenare la ricerca, che dire delle autorità sanitarie pubbliche dei singoli stati, giacché nessun settore come la telefonia contribuisce in modo così ingente al gettito fiscale? Solo in Italia il fatturato della telefonia arriva a 45 miliardi. Per anni ricerche estremamente significative rimanessero nel fondo di alcuni cassetti”


- Secondo l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità), i campi elettromagnetici, distribuiti su varie frequenze, rappresentano uno degli inquinanti più diffusi ed in veloce aumento nell’ambiente. Tutte le popolazioni sono attualmente esposte a varie tipologie di radiazioni ed i livelli di esposizione sono destinati a lievitare continuamente in funzione degli sviluppi tecnologici.
Si pensi ad esempio che nel mondo esistono più di 1.400.000 stazioni radio base per telefonia cellulare (circa 1 ogni 4000 utenti) con oltre 5,4 miliardi di cellulari, ed il numero sta crescendo significativamente con l’introduzione delle tecnologie di futura generazione. Altre reti wireless che consentono accesso e servizi con internet ad alta velocità, come le reti wireless locali, sono comunemente in crescita in abitazioni, uffici e in molte aree pubbliche (aeroporti, scuole, zone residenziali ed urbane). A tutto ciò vanno aggiunti gli impianti di trasporto e distribuzione di energia elettrica, gli impianti di diffusione dei segnali radio, TV e radar che, in generale, hanno sensibilmente modificato le caratteristiche elettromagnetiche ambientali negli ultimi 100 anni.
Nonostante non si sia ancora raggiunta una complessiva uniformità d’interpretazione, diversi lavori epidemiologici riportano dati di maggior rischio di alcune malattie degenerative (leucemie, linfomi, tumori cerebrali, disturbi neurocomportamentali ed altre patologie) in individui particolarmente esposti alle fonti di emissione per motivi residenziali e/o professionali. L’approccio sanitario consigliabile in questi casi è sempre rappresentato dall’applicazione del Principio di Precauzione, in virtù del quale, quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure preventive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi.
Ciò si rende particolarmente necessario soprattutto quando sono coinvolti gruppi sensibili e vulnerabili come i giovani ed i bambini. L’attesa di prove cliniche e scientifiche di più alto livello, prima di intraprendere azioni atte a prevenire rischi ben conosciuti, o quanto meno fortemente sospettati, può portare a costi economici e sanitari molto elevati, come si è verificato nel caso dell’amianto, dei metalli pesanti, del benzene o del tabacco, solo per citarne alcuni.
Purtroppo in queste situazioni spesso si avverte la mancanza di valutazioni trasparenti, indipendenti ed equilibrate in merito al potenziale impatto negativo per l’ambiente e la salute umana.
Un dato interessante, che non può passare inosservato, è che se la ricerca è finanziata dai privati le radiazioni emesse dai cellulari, ad esempio, vengono assolte nel 71% dei casi, se lo studio è finanziato con soldi pubblici soltanto nel 33%.
Di esempi in questo senso purtroppo se ne possono fare innumerevoli. La puntata di Report, andata in onda il 27 novembre 2011, ha fornito in modo lucido e documentato una serie di dati sconcertanti: a New York vive Louis Slesin, un editore indipendente che sostiene di aver scoperto come l’industria della telefonia mobile ha finanziato la ricerca sui cellulari gestita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la quale rappresenta l’autorità sanitaria a cui il mondo fa riferimento. A metà degli anni ‘90, la compagnia americana Motorola era leader nella produzione dei telefoni cellulari e avrebbe finanziato l’Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso un sistema basato sulla triangolazione del denaro: secondo Slesin, la Motorola versava i soldi su un conto corrente aperto presso il Roba Adelaide Hospital, in Australia. Dall’ospedale australiano i soldi erano dirottati sotto forma di donazione all’Organizzazione Mondiale della Sanità con sede a Ginevra, in Svizzera.
In ogni caso una domanda sorge inevitabilmente: se da un lato i produttori telefonici hanno quanto meno esercitato pressioni per ritardare o frenare la ricerca, che dire delle autorità sanitarie pubbliche dei singoli stati, giacché nessun settore come la telefonia contribuisce in modo così ingente al gettito fiscale? Solo in Italia il fatturato della telefonia arriva a 45 miliardi. Ma forse è proprio questo il motivo che ha fatto sì che per anni ricerche estremamente significative rimanessero nel fondo di alcuni cassetti.
Una situazione analoga si era verificata con l’industria del tabacco: gli stati volutamente, per anni, non hanno approfondito il nesso eziologico tra fumo e varie patologie cancerogene perché più alto era il numero delle vendite maggiore era l’incasso, finché non ci si è accorti che quelle tasse bastavano a malapena a curare i danni.
Il 31 maggio 2011 la IARC, l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, emette un verdetto sulle radiazioni prodotte dai cellulari. Sono state valutate tutte le prove scientifiche sulla potenziale cancerogenicità dei campi elettromagnetici nella banda delle radiofrequenze e la conclusione è stata che tali campi rappresentano un “possibile cancerogeno”, affiancandosi così, nella stessa categoria, ai campi in bassa frequenza generati dalle reti elettriche.
Del gruppo di esperti che dovevano decidere come classificare la cancerogenicità delle onde emesse dai cellulari hanno fatto parte trenta ricercatori provenienti da tutto il mondo. Tutti i membri dovevano segnalare eventuali attività personali che avrebbero potuto sollevare potenziali conflitti di interesse.
L’inchiesta condotta da Report purtroppo ha mostrato come diciassette dei trenta membri, che hanno partecipato alla valutazione finale, avrebbero avuto conflitti di interesse non dichiarati, quindi c’è da aspettarsi che il quadro sanitario definito dalla IARC sia pure peggiore rispetto a quanto emerso.
Ed infatti Lennart Hardell, oncologo indipendente dell’Università di Orebro, ha verificato che le persone che usano il cellulare da un decennio, anche per un’ora al giorno, hanno il doppio di possibilità di sviluppare un tumore, ma se si restringe il campo e si associa il tumore alla parte del cervello dove si tiene il telefono, il rischio aumenta di cinque volte.
Tuttavia l’indagine guidata da Milena Gabanelli ha messo in evidenza anche un altro aspetto estremamente sottile dell’intera vicenda: le compagnie telefoniche stanno facendo tesoro dell’errore che fu fatale alle multinazionali del tabacco. Oggi sappiamo che milioni di persone sono morte di cancro convinte che la sigaretta fosse innocua mentre la ricerca, già da molto tempo, aveva dimostrato la sua tossicità a più livelli.
Le multinazionali sostennero economicamente le ricerche di illustri scienziati commettendo soltanto un errore: realizzare ricerche nei propri laboratori e tenerle nascoste. Alla fine degli anni 90, davanti al Congresso americano, mentirono sulle loro conoscenze circa la manipolazione del tabacco finalizzata ad aumentare l’assorbimento di nicotina, quindi la dipendenza. L’inganno è costato alle multinazionali 200 miliardi di dollari solo di indennizzi nelle cause di risarcimento e un calo drastico nelle vendite.
E’ un errore che le compagnie telefoniche non vogliono ripetere. Preferiscono finanziare quella che definiscono “ricerca indipendente”: chi avrebbe poi il coraggio di emettere una sentenza di condanna davanti ai dubbi della scienza?
Qualche giorno prima della pubblicazione del documento della IARC, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa ha votato la n.1815 (27 Maggio 2011). In essa si auspica che i paesi membri, attraverso una collaborazione fra i diversi ministeri (educazione, ambiente e salute), intensifichino l’attività specifica di informazione diretta a insegnanti, genitori e alunni per allertarli sui rischi relativi all’utilizzo precoce, sconsiderato e prolungato di cellulari e altri dispositivi elettronici che emettono microonde; per i bambini in generale, ed in particolare nelle scuole e nelle classi, sarebbero, ad esempio, preferibili le connessioni internet cablate, come già avviene in paesi come Austria e Germania.
Inoltre, in relazione all’uso privato di telefoni mobili, telefoni DECT (cordless), WiFi, WLAN e WIMAX per computer ed altri dispositivi wireless come i BABY PHONES, si consiglia di fissare soglie preventive per l’esposizione a lungo termine alle microonde, in tutti gli ambienti interni (indoor), in accordo con il Principio di Precauzione, che non superino gli 0,6 Volt/metro e, nel medio termine, ridurre questo valore a 0,2 V/m, ossia a valori di esposizione da 10 a 30 volte inferiori ai già restrittivi parametri della normativa italiana.
Quando anni fa, in tempi non sospetti, dimostrai e pubblicai che mediamente l’80% della radiazione di un cellulare posto a contatto con l’orecchio viene assorbita dalla materia cerebrale e, più in generale, al fianco della Federconsumatori di Rimini, sostenevo pubblicamente la necessità di adottare gli stessi criteri cautelativi oggi raccomandati dal Consiglio d’Europa, molti miei interlocutori, anche specialisti del settore, assumevano atteggiamenti molto rassicuranti citando studi che, in seguito, si sono dimostrati essere finanziati da alcuni enti gestori di telecomunicazioni. Ora l’Europa si è pronunciata ufficialmente e ritengo che il senso di appartenenza al vecchio continente non si debba limitare solo al rispetto di alcuni parametri di politica economica.
Tuttavia, incredibilmente, a fronte di quanto sopra riportato, il Ministero della Pubblica Amministrazione del precedente governo ha dato il via, dal 9 maggio 2011, con una tempistica imbarazzante, all’iniziativa “Scuole in WI-FI”, cui hanno aderito oltre 1700 scuole in tutta Italia, che vanno ad aggiungersi agli Istituti che, autonomamente, avevano già fatto questa scelta. Per contro, in alcune scuole come quella in cui insegno (Liceo Scientifico A. Volta di Riccione), l’offerta è stata coscienziosamente rifiutata, ma il livello di informazione sull’argomento è decisamente limitato.
Come se ciò non bastasse, in base al Decreto Sviluppo del 24 Ottobre 2011 (al momento in cui scrivo non ancora convertito in legge), potremmo assistere ad una grave involuzione protezionistica nel nostro paese a causa di alcune variazioni dei metodi di monitoraggio: il valore di 6 V/m, mediato su un qualsiasi intervallo di sei minuti, continuerebbe a valere in questa forma all’interno degli edifici, mentre nelle relative pertinenze esterne e nelle aree intensamente frequentate, dovrebbe essere inteso come media statistica giornaliera, calcolata sulla base della potenza media irradiata dagli impianti nell’arco delle 24 ore, quindi con possibilità di escursioni diurne anche a valori decisamente più elevati, dal momento che le potenze di notte risultano notevolmente ridotte a causa di una fisiologica diminuzione del traffico telefonico.
L’ex ministro Romani ebbe a dichiarare che i limiti italiani attualmente vigenti sono una delle tante norme ideologiche di propaganda ambientalista. In realtà, il Decreto Sviluppo, qualora fosse convertito in legge, faciliterebbe il cosiddetto co-siting: i gestori ne hanno bisogno perché la diminuzione delle tariffe sta comportando guadagni minori e concentrare molti impianti su di un unico traliccio costituisce un forte risparmio che tuttavia, fino ad ora, comportava il pericolo dello sforamento dei 6 volt/m, rischio ancora in essere, soprattutto a fronte della necessità, da parte delle compagnie telefoniche, di adeguarsi alla tecnologia 4G, con l’installazione delle nuove antenne Lte (Long term evolution), operazione che ha già comportato un investimento di circa 1,5 miliardi per ogni gestore. Questo aggiornamento legislativo porterebbe al superamento del problema, ma anche un aumento del fondo ambientale.
Le reti di quarta generazione consentiranno un deciso salto di qualità nel settore delle telecomunicazioni, un settore capace di convogliare investimenti notevolissimi nonostante la grave crisi economica globale e alla fine, attratti come falene dalla luce di una lampione, molti di noi rincorreranno, magari in un’aberrazione dello spirito Natalizio, le ultime novità tecnologiche dimenticando, troppo in fretta, che la vita delle persone è assai più importante della possibilità di comunicare.

*Docente di Fisica al Liceo Scientifico A. Volta di Riccione e consulente della Federconsumatori di Rimini

Per chi vuole approfondire il tema dei campi elettromagnetici c'è un'altra interessante intervista all'ingegnere elettronico Claudio Poggi del 29 dicembre sul sito di Beppe Grillo. Qui sotto il link:

http://www.beppegrillo.it/2011/12/tumori_download/index.html

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