lunedì 22 giugno 2009

RIFLESSIONI SULL'IDEOLOGIA DELLA CRESCITA

Riflessioni sull'ideologia della crescita
di Beppe Marasso
L’ideologia della crescita ha esercitato una tale devastazione nella cultura e nei valori per cui il criterio di giudizio che unicamente viene preso in considerazione è quello economico. Peggio è quello economico a breve termine. Non importano considerazioni di ordine estetico, etico o culturale, basta che una cosa sia presentata come economicamente conveniente che ogni altra considerazione è spazzata via.

Questa semplificazione del giudizio, vera e propria automutilazione spirituale, porta in sé dei disastri, il primo dei quali è la “cecità” che impedisce di vedere gli effetti anche quando sono sotto gli occhi di tutti.
È di evidenza solare che le risorse finite della terra (che per quanto grande non è infinita) non possono sostenere infinitamente il loro uso dissennato senza collassare.

È ciò che sta avvenendo per il petrolio, per il cui controllo si sono già scatenate guerre preventive; sta per avvenire per l’acqua; è avvenuto e avverrà per risorse minerarie, ecc.

Da noi, tra le belle colline di Langhe, Roero e Monferrato il consumo insostenibile di risorsa è particolarmente visibile a proposito del territorio sempre più invaso da cemento e asfalto. Si costruiscono capannoni anche al di fuori di ogni necessità per investire soldi, per affittarli nell’illusione che lo “sviluppo” continuerà indefinitamente, mentre sono già evidenti le crepe. Nel momento della crisi assumerà valore il terreno che può dare buoni alimenti. Dal cemento chi può trarre di che sfamarsi?

Chi pensa di mettere al sicuro i propri risparmi investendo in cemento dunque non solo non tutela interessi collettivi ma neppure quelli più personali. È un fallito anche dal punto di vista più egoistico.
Ma non è necessario rivolgersi al futuro, basta e avanza guardare il presente. I corsi d’acqua, anche il maggiore, da noi il Tanaro, tendono ad essere sempre più poveri e soprattutto a cambiare il regime che sta diventando non più di tipo fluviale ma di tipo torrentizio. A questa trasformazione-degrado concorre anche l’asfaltatura e la cementificazione del territorio. La pioggia che cade su superfici impermeabili (asfalto e cemento appunto) non percola in profondità ma scorre via immediatamente. Questo da un lato alimenta l’onda di piena e i suoi effetti a volte devastanti (abbiamo avuto disastri e decine di morti nel ’94, ma danni sia pur minori anche più recenti), dall’altra riduce l’alimentazione della falda freatica che, anche per altre ragioni, diventa sempre più profonda. Anche l’approfondimento della falda, oltre agli evidenti danni all’agricoltura, determina la riduzione o il disseccamento delle fonti. Anche di qui periodi di magra dei corsi d’acqua alternati a rischi di esondazioni, appunto il regime torrentizio al posto del regime fluviale.
L’edilizia residenziale, e soprattutto quella industriale, essendo per ragioni economiche fatta su modelli standardizzati, frequentemente con cemento precompresso, perde caratteri locali e diventa causa di un impoverimento del paesaggio che è anche estraniazione dalla nostra identità, cioè impoverimento storico e culturale. Anche da questo punto di vista l’avidità è cattiva consigliera. Certamente i flussi di turismo che si sperano non si realizzeranno per venire a vedere dei capannoni; di costruzioni anonime, siano americane o tedesche o giapponesi o svizzere, ne hanno già fin troppe a casa loro, non hanno bisogno di venire da noi. A forza di capannoni ci troveremo dunque più poveri culturalmente, ma anche, maggior beffa degli “adoratori del business”, economicamente.
La nostra mente è stata colonizzata. Come nel secolo scorso in Asia, America e Africa si operarono grandi movimenti di liberazione dal dominio politico, è ora necessario un movimento di liberazione culturale. Liberati dalla prigione mentale che l’ideologia delle merci ci ha imposto, potremo ritrovare la strada dell’amore per la terra e per l’acqua, per le piante e i fiori e per ogni forma di vita animale e vegetale; amore e riconoscenza per i nostri antenati che queste colline ci hanno consegnato intatte dal punto di vista del paesaggio e più fertili da quello agronomico, in definitiva amore e rispetto per noi stessi, condizione per amare e rispettare gli altri.

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